Il tumore al seno in cifre

  • 90%: è il tasso di sopravvivenza a 5 anni dei pazienti a cui viene diagnosticata la malattia negli Stati Uniti; il tasso a 10 anni è dell’83%
  • 1 donna su 8 sviluppa un tumore al seno invasivo nell’arco della propria vita (12%)
  • 2 milioni di nuovi casi diagnosticati a livello globale nel 2018
  • Primo tra i tumori che colpiscono le donne, è il secondo per mortalità, dopo il tumore al polmone
  • Il 21% dei pazienti ha meno di 49 anni e il 43% è oltre i 65 anni

Fonte: World Cancer Research Fund International, associazione internazionale no profit per la ricerca sul cancro

In occasione dell’Ottobre Rosa, il mese dedicato alla sensibilizzazione verso il tumore al seno, Rudi Van den Eynde, responsabile del fondo Thematic Global Equity, fa il punto sulla malattia. Van den Eynde vede positivamente il riscontro di una spinta innovatrice ancora intensa in campo farmaceutico, sostenuta da una comprensione sempre migliore della malattia.

 

Quali sono i progetti scientifici più promettenti?

La ricerca ci consente ormai di comprendere meglio gli aspetti genetici caratteristici dei tumori, aprendo le porte a trattamenti specifici e allo sviluppo di farmaci estremamente specializzati. Herceptin®, dai laboratori Roche, è stato il primo segnale di questa rivoluzione, in grado di trasformare le prospettive di trattamento del tumore al seno HER2-positivo, uno dei più aggressivi. Questo medicinale è però efficace solo nel 20% dei pazienti che presentano questa mutazione. Ma anche per gli altri pazienti esistono nuove alternative che progressivamente sostituiscono, o integrano, la chemioterapia. L'anno scorso, le autorità statunitensi hanno approvato un nuovo medicinale contro il cancro cosiddetto “triplo negativo”, uno dei più complessi da trattare. Anche i tumori ereditari legati alle mutazioni dei geni BRCA si possono affrontare più facilmente, così come quelli in stadio più avanzato con presenza di metastasi o quelli che non rispondono più al trattamento standard. Sono in corso ricerche promettenti anche sul fronte dell’immunoterapia, con l’obiettivo di stimolare il sistema immunitario per comprendere meglio la natura del tumore.

 

I costi di questi trattamenti innovativi aumentano però molto rapidamente e, in alcuni casi, possono esplodere rischiando di ridurre l’accesso ai trattamenti stessi... 

È il prezzo da pagare per lo sviluppo della medicina mirata. Fino all’inizio degli anni ‘90, i nuovi trattamenti erano rivolti per lo più ad ampie popolazioni di pazienti. I tumori venivano, bene o male, trattati mediante la chemioterapia. Da allora, la ricerca ha mostrato che non esiste un solo tumore al seno, ma diversi tipi di tumore che possono e devono essere trattati con farmaci diversi. A livello generale, in ambito oncologico alcuni tipi di cancro sono estremamente rari e interessano solo qualche decina di migliaia di pazienti in tutto il mondo, a volte solo qualche centinaio... Le biotecnologie ci offrono gli strumenti per combatterli, ma questo significa che ogni medicinale così sviluppato potrà essere prescritto esclusivamente a un numero limitato di persone. I costi di ricerca e sviluppo continuano invece a crescere e, in un mercato più frammentato, i prezzi non possono che aumentare. È sicuramente importante non peccare d’ingenuità: le negoziazioni tra le autorità sanitarie e i laboratori sono essenziali per tenere sotto controllo i prezzi, così come l’elevata competizione tra i laboratori stessi. Non dobbiamo poi dimenticare che sono i farmaci già immessi sul mercato a consentire il finanziamento delle future innovazioni. Inoltre, con la scadenza dei brevetti dopo 10-12 anni dall’autorizzazione all’immissione in commercio, la concorrenza dei farmaci equivalenti e biosimilari si rafforza e determina una riduzione dei prezzi. Per concludere, ritengo che il sistema sia piuttosto efficiente e che sia in grado di attirare gli investimenti necessari per affrontare le prossime sfide.

 

Anche gli investitori privati hanno un ruolo in questi meccanismi, dal momento che finanziano i progetti più promettenti. Sono sempre pronti a fornire il loro sostegno?

Se si guarda indietro, osservando il capitale di rischio, si nota che in passato vi sono state alcune carenze e le società sono state costrette a competere caparbiamente per conquistare gli investitori, soprattutto in Europa. Alla luce dei cambiamenti dovuti alla diffusione del nuovo coronavirus, è lecito temere una sorta di crowding out con uno spostamento del capitale di rischio verso altri settori terapeutici. Tuttavia, questo problema non si è verificato, e questo è anche un sintomo della ricchezza della ricerca odierna e delle innovazioni che ci aspettano in futuro. Inoltre, ho potuto constatare che il capitale di rischio nel settore sanitario sta guadagnando terreno nella maggior parte dei Paesi europei ma sta anche registrando un miglioramento. In generale, le aziende hanno a disposizione i fondi necessari per portare avanti il proprio lavoro. Quelle che propongono innovazioni valide non hanno alcuna difficoltà a finanziarle. Oserei quasi affermare che in alcuni Paesi i capitali disponibili superano le idee rilevanti. Per questo motivo è importante che gli investitori si appoggino a esperti riconosciuti per effettuare una valutazione approfondita dei progetti che intendono sovvenzionare, qualunque sia il tipo di società (quotata in borsa o privata) che li porta avanti. Questo è ciò che propone Candriam, grazie all’équipe interna di “investitori scientifici” e a esclusivi modelli di valorizzazione che danno prova delle proprie prestazioni da ormai 20 anni, anche in un contesto complesso come quello delineato dalla presenza del nuovo coronavirus.

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