i rendimenti statunitensi a 10 anni sono saliti al livello più alto dal 2007

Settembre si è rivelato un altro mese difficile per gli investitori nei tassi statunitensi ed europei. Il decennale USA è balzato al massimo degli ultimi 16 anni. Bank of America sostiene che le perdite subite dai finanziatori del governo americano dall'estate del 2020 sono le più ingenti mai registrate nello stesso arco di tempo, per quanto sia legittimo chiedersi quanto simili a quelle odierne possano essere le oscillazioni del mercato obbligazionario nel XIX secolo rispetto a quelle odierne. Non sorprende quindi che gli investitori possano essere impazienti, tracciare una linea di demarcazione e trovare un pregevole punto d'ingresso. Al contempo però il flusso di notizie non è stato del tutto favorevole, poiché l'economia statunitense ha esibito un'ammirevole resilienza. Sullo sfondo di tassi molto più alti e deficit statali ancora elevati, i mercati sono sempre più preoccupati per la sostenibilità del debito pubblico. 

È molto probabile che questi segnali contrastanti abbiano contribuito alla volatilità particolarmente intensa sul mercato obbligazionario che persiste ormai da oltre un anno. Nel 2023 la volatilità ha raggiunto i massimi dalla Grande crisi finanziaria dopo che il decennale statunitense aveva già superato la soglia del 4,2%, in ascesa da poco più dello 0,5% all'indomani dei primi lockdown per il Covid. Sebbene la possibilità di un ulteriore rialzo sia più remota in entrambe le aree economiche, l'impatto di uno scenario di "tassi elevati più a lungo" è diventato il tema dominante, poiché le attese di futuri tagli sono state ridimensionate.

 

Consumatori americani: è caduto anche "l'ultimo baluardo dei consumi"?

L'economia statunitense ha esibito una notevole resilienza a fronte di un ciclo rialzista molto rapido. In un contesto dove i mutuatari si erano abituati a un costo del capitale molto contenuto, ci si sarebbe potuti aspettare che l'improvviso inasprimento delle condizioni finanziarie avesse ricadute economiche negative ben più gravi.

La costante solidità dei dati macroeconomici e, in molti casi, le loro sorprese positive sono a nostro parere ascrivibili a due principali ragioni. In primo luogo, molte famiglie sono state in grado di accumulare importanti risparmi durante la pandemia. Queste riserve hanno continuato ad alimentare i consumi fino a poco tempo fa, ma adesso tutti, tranne il quinto più ricco della popolazione, hanno probabilmente esaurito tali risorse. In secondo luogo, si sono osservate politiche fiscali accomodanti in un'economia robusta, un evento più unico che raro; nonostante il forte rally dopo la pandemia di Covid, la spesa in deficit ha continuato a sostenere l'economia.

Dati i minori risparmi, i crescenti interessi su carte di credito, finanziamenti automobilistici e mutui, nonché la ripresa dei pagamenti per i prestiti agli studenti, è probabile che i consumatori americani vengano ulteriormente "spremuti". Sebbene di recente l'occupazione non agricola si sia rivelata molto solida, sono emersi i primi segni di un mercato del lavoro in raffreddamento, come gli aiuti temporanei e il numero di candidati per ogni posto di lavoro pubblicizzato.

Un rallentamento dell'economia dovrebbe favorire il lavoro della Fed e far scendere l'inflazione e le relative attese. Da un punto di vista puramente valutativo, i tassi statunitensi appaiono molto interessanti.

Al riguardo, manteniamo il nostro sovrappeso, ma preferiamo tornare a una posizione neutrale sul decennale e concentrarci sulla scadenza a 5 anni. Apprezziamo la parte centrale della curva, poiché offre una maggiore protezione dalle sorprese a livello di politica monetaria e di aspettative.

 

Le prospettive economiche europee non depongono a favore di tassi più alti

A nostro avviso, negli Stati Uniti lo scenario più probabile è ancora quello di un "atterraggio morbido", con il rischio che i tassi più elevati facciano scivolare l'economia in una recessione. Le previsioni sull'economia europea sono meno ottimistiche: il nostro scenario di base punta infatti a una crescita debole. Sebbene di recente i tassi abbiano sofferto anche su questa sponda dell'Atlantico, confermiamo la posizione long sulla duration in euro, una nostra convinzione. Dopo aver innalzato i tassi al 4%, la BCE ha lasciato intendere che si tratta probabilmente dell'ultimo aumento nell'attuale ciclo. Abbiamo inoltre conservato la posizione sull'irripidimento e, alla luce delle nostre aspettative di politica monetaria, abbiamo spostato parte del sovrappeso dalla scadenza decennale a quella quinquennale. Siamo sottopesati sul lunghissimo termine (30 anni), poiché la fine dei reinvestimenti nell'ambito del PEPP dovrebbe anch'essa esercitare una pressione rialzista sui tassi, in ragione di dinamiche per domanda e offerta in deterioramento.

 

Parziali prese di profitto sui tassi britannici

Il Regno Unito è l'unica economia del G4 dove ultimamente si è assistito a un significativo incremento della disoccupazione. Vista la resilienza del mercato del lavoro nell'eurozona nonostante una crescita anemica (la disoccupazione è di recente scesa a un minimo dalla creazione della moneta unica), a nostro parere tale evento indica che l'economia britannica non può reggere gli attuali livelli dei tassi. Il mercato sembra aver condiviso piuttosto rapidamente questa visione e i tassi sono scesi. Di conseguenza, abbiamo incamerato parziali profitti su questa sovraperformance. Siamo sempre convinti che i tassi del Regno Unito abbiano margini per calare ulteriormente e rimaniamo sovrappesati, ma ora la posizione è in linea con quelle di Stati Uniti e UE.

 

Credito investment grade: pregevoli rendimenti, ma gli spread sono un discorso a parte

Nell'universo del credito investment grade in euro, gli spread sono ancora ampiamente in linea con la media post-Grande crisi finanziaria. Pur non anticipando particolari problemi per le imprese europee investment grade nel rifinanziarsi a tassi più elevati o generare ricavi per far fronte agli obblighi di servizio del debito, l'attuale contesto presenta una maggiore concentrazione di potenziali rischi, dalla geopolitica alle sorprese sugli utili e molto altro. Tuttavia, i rendimenti headline sono ancora interessanti e continuiamo a privilegiare società con profili finanziari e business solidi, soprattutto nel credito a breve scadenza. Vorremmo però che gli spread più ampi favorissero in misura maggiore la classe di asset nel suo complesso e per ora restiamo neutrali.

Negli Stati Uniti gli spread sono semplicemente troppo contratti per essere considerati un'alternativa agli investimenti in Treasury. Attendiamo un sostanziale ampliamento prima di tornare a investire in questa classe di asset.

 

Credito high yield: professiamo prudenza, ma le valutazioni in USD sono migliorate

Rimaniamo molto cauti sul credito high yield, poiché i fondamentali hanno verosimilmente raggiunto l'apice e prevediamo un deterioramento del contesto macro, metriche creditizie e dinamica dei rating. Nei segmenti high yield in euro e dollari, gli spread rispetto al credito investment grade sono molto contenuti; a nostro avviso, questo non rispecchia affatto i futuri rischi per l'high yield risultanti dal rifinanziamento a livelli molto più elevati e dalla possibile pressione sui ricavi delle imprese. Tuttavia, data la recente sottoperformance dell'high yield statunitense, la nostra visione tattica è meno negativa, poiché le valutazioni si sono avvicinate a valori che reputiamo equi. Nel complesso, emerge con sempre maggiore chiarezza il tema della dispersione tra gli emittenti, che dovrebbe quantomeno offrire l'opportunità di selezionare solide imprese nel segmento.

 

Mercati emergenti: opportunità in specifici mercati in valuta locale

In maniera analoga al credito statunitense, gli spread del debito emergente in valuta forte non sembrano affatto sufficienti rispetto ai valori storici. La probabile fine del ciclo rialzista della Fed non basta per indurci ad apprezzare la classe di asset agli attuali livelli.

In merito al debito in valuta locale, il quadro è più eterogeneo. Sebbene il potenziale di un forte deprezzamento del dollaro USA rispetto alla maggior parte delle valute dei mercati emergenti sia scarso, intravediamo valore nei tassi dei paesi in cui i rendimenti reali sono ancora molto elevati e che avviano ora un ciclo di tagli dopo gli aumenti senza precedenti. Apprezziamo in particolare Messico, Brasile, Indonesia e India. I tassi indiani dovrebbero inoltre beneficiare delle previste inclusioni negli indici, con una conseguente domanda da parte dei fondi indicizzati.

Ricerca rapida

Ottenere informazioni più velocemente con un solo clic

Ricevi approfondimenti direttamente nella tua casella di posta elettronica