Questo ciclo presidenziale statunitense ha assunto un carattere storico sotto molti punti di vista, non da ultimo per le agende politiche in netto contrasto dei due candidati. Insieme alle aspettative pre-elettorali di una corsa all'ultimo voto, poi rivelatesi errate, abbiamo assistito all'aumento e alla diminuzione della popolarità dei cosiddetti "Trump Trade" in base ai suoi numeri nei sondaggi. La visione "America First" di Trump, incentrata su dazi, deregolamentazione, restrizioni all'immigrazione e tagli alle imposte, preannuncia un aumento di inflazione, utili aziendali, tassi di interesse e probabilmente anche della crescita.
Alla fine, l'affermazione dei repubblicani è stata netta. La mattina dopo l'Election Day era certa la vittoria di Donald Trump e quella al Senato, mentre sembrava probabile anche la conquista della Camera dei rappresentanti. I mercati hanno reagito rapidamente e proprio come era lecito attendersi: gli asset rischiosi hanno messo a segno un rally e, tra questi, quelli incentrati sugli Stati Uniti, ovvero le azioni delle small cap e le obbligazioni high yield, sono stati i primi della classe. I Treasury hanno ceduto terreno e la curva dei rendimenti si è irripidita al ribasso, riflettendo le preoccupazioni degli investitori riguardo l’indisciplina fiscale.
I mercati dei tassi in gran parte del mondo sviluppato hanno reagito in modo quasi opposto. Se la nuova amministrazione attuerà il suo vasto programma di dazi, ci sarà un chiaro impatto negativo sulla crescita. I tassi europei sono scesi e la curva si è irripidita al rialzo, in seguito alle aspettative di un'eventuale accelerazione del ciclo ribassista della BCE.
Tassi USA: sottopeso alla luce delle quasi certe proposte di politica inflazionistica di Trump
A ridosso delle elezioni eravamo già passati da un leggero sovrappeso sui Treasury a una posizione neutrale, preferendo non prendere posizione su quello che, a nostro avviso, era un risultato incerto e binario.
Riteniamo che le proposte di politica avanzate da Trump comporteranno inevitabilmente pressioni inflazionistiche. I dazi faranno lievitare i prezzi dei beni e le rigorose restrizioni ai movimenti migratori accresceranno quelli dei servizi. Presi insieme, questi fattori potrebbero causare un disancoraggio delle aspettative e a una conseguente rivalutazione delle aspettative sul tasso terminale.
L'effetto sulla crescita potrebbe essere meno netto, ma probabilmente positivo. Di per sé, i dazi freneranno la crescita, riducendo la spesa al consumo, ma potrebbero essere controbilanciati da stimoli fiscali. Prevediamo infatti che saranno necessari stimoli fiscali per evitare un forte impatto negativo dei dazi sulla crescita, che Trump intende presumibilmente evitare.
La natura inflazionistica degli obiettivi di Trump ci induce ad assumere una posizione più cauta sui tassi USA, pur mantenendo la nostra posizione su un ulteriore irripidimento della curva.
Detto questo, ci aspettiamo anche che l'amministrazione Trump sia molto imprevedibile. In definitiva, potrebbe non mantenere tutte le promesse e la spesa in deficit potrebbe essere limitata dai repubblicani del Congresso, il cui primo istinto tende a essere più hawkish in materia di politica fiscale rispetto a quello del nuovo presidente. La mancanza di certezza in merito alle politiche di Trump potrebbe frenare qualsiasi rialzo eccessivo dei rendimenti sul breve termine. Continuiamo a monitorare da vicino gli sviluppi di politica e le reazioni del mercato, nonché ad adeguare le nostre visioni di conseguenza.
Costruttivi sui tassi in euro in un contesto di ulteriori venti contrari per l'economia
A ottobre abbiamo osservato dati economici moderatamente più solidi provenienti dall'Eurozona, con cifre della crescita migliori del previsto e un leggero rimbalzo dei PMI. Tuttavia, in prospettiva, il settore manifatturiero è ancora in territorio di contrazione e l'avvento dell'amministrazione Trump non è affatto una buona notizia per la crescita europea. Potremmo infatti assistere a un impatto sulla crescita dello 0,8%, che farebbe scivolare l'Eurozona da una crescita anemica a una recessione. Sul breve termine, è probabile che vi sia anche una capacità limitata per ulteriori stimoli fiscali, salvo in Germania, dove sembra però mancare la volontà politica. Le nuove elezioni si terranno solo l'anno prossimo e non è chiaro fino a che punto il nuovo governo sarà disposto a modificare le politiche.
L'inflazione sembra avviata a scendere sotto il 2% nel 2025 e ci aspettiamo un ulteriore rallentamento della componente core. La minore crescita dovuta ai dazi statunitensi rappresenterebbe una pressione deflazionistica aggiuntiva. Poiché a nostro parere le attese sui tassi non sono eccessivamente aggressive, siamo soddisfatti di mantenere un sovrappeso sui tassi in euro.
Riguardo al Regno Unito, restiamo essenzialmente convinti che, rispetto all'Eurozona, l'economia britannica faticherebbe a sostenere i tassi al momento scontati dal mercato; entrambe le regioni sono infatti alle prese con una simile debolezza strutturale e una crescita contenuta. Tuttavia, finora il mercato non si è allineato a questa visione e dopo le elezioni i GILT hanno esibito un andamento analogo a quello dei tassi in euro, ovvero hanno messo a segno un rally nonostante i rendimenti dei Treasury siano aumentati, ma non nella stessa misura. La Banca d'Inghilterra ha inoltre pubblicato le nuove previsioni di crescita, che segnalano un incremento dello 0,75% e un ritorno dell'inflazione target con circa un anno di ritardo rispetto a quanto inizialmente previsto. Anche il bilancio presentato dal nuovo cancelliere laburista Reeves a ottobre potrebbe rendere più arduo il compito della Banca d'Inghilterra. Il governo intende aumentare le imposte, ma la spesa supplementare non è completamente finanziata e, in termini netti, il bilancio prevede un significativo allentamento fiscale. Pertanto, intravediamo ora un rallentamento dei tagli della BOE rispetto alle nostre precedenti attese e abbiamo ridotto la nostra convinzione.
Credito USA: le valutazioni sono ancora elevate, ma la propensione al rischio degli investitori sembra intatta
In modo analogo ad altri asset rischiosi, gli spread creditizi hanno esibito un ulteriore rally, soprattutto nel segmento high yield incentrato sul mercato nazionale. Sebbene le valutazioni restino vicine a massimi storici, dato il forte appetito degli investitori per gli asset rischiosi statunitensi, preferiamo per il momento tornare a una visione neutrale sull'investment grade e alleggerire il nostro sottopeso sull'HY.
Manteniamo inoltre un giudizio neutrale sul credito investment grade in euro. A ottobre gli spread hanno infatti continuato a contrarsi di circa 10 punti base ma, a differenza del credito statunitense, non si sono avvicinati ai minimi storici. Risulta interessante notare che lo swap spread del credito IG in euro è rimasto invariato, con quello dei rendimenti dei titoli di Stato tedeschi divenuto molto meno negativo sulle scadenze brevi e ora positivo sul decennale. I fondamentali permangono solidi e, sebbene le prospettive di crescita non siano certo migliorate, non ravvisiamo sul breve termine rischi prevedibili che giustifichino una sostanziale correzione. L'HY in euro ha seguito una traiettoria simile, con una contrazione degli spread di circa 25 punti base. Si tratta indubbiamente di livelli contenuti, ma anche in questo caso, visti i pregevoli fondamentali e la qualità complessiva della asset class, manteniamo una posizione neutrale.
Sempre positivi sul dollaro USA
Come detto in precedenza, in futuro il ritmo dei tagli della BOE potrebbe essere più lento. Pertanto, data la debolezza della sterlina a settembre e ottobre abbiamo preferito ridurre la posizione short rispetto all'euro e incamerare profitti.
Riguardo alle altre valute dei mercati sviluppati, continuiamo a mantenere una posizione long sull'USD rispetto all'EUR e una long sullo JPY. A livello strutturale, riteniamo che le politiche di Trump dovrebbero continuare a favorire il dollaro. Apprezziamo anche lo JPY. La tendenza ribassista dei rendimenti globali, a fronte di un percorso divergente della politica monetaria giapponese, dovrebbe rivelarsi vantaggiosa, in quanto l'EUR si prefigura come una valida alternativa per finanziare i carry trade.
Mercati emergenti: non intravediamo un forte impatto negativo dell'esito elettorale
A seguito delle elezioni statunitensi, ci aspettiamo pressioni inflazionistiche derivanti dalla volontà del presidente Trump di attuare dazi e una politica fiscale verosimilmente espansiva.
A questo proposito e a parità di condizioni, la forza del dollaro, che riduce il margine di manovra di altre banche centrali, e le ripercussioni più dirette dei dazi influiranno negativamente sulle capacità di rifinanziamento dei paesi emergenti che emettono in dollari. Al contrario, questa politica economica statunitense potrebbe spingere la Cina a intensificare le misure di stimolo, sostenendo al contempo altre economie emergenti.
Soffermiamoci ad esempio sul Messico, paese diverso dalla Cina e con un'elevata esposizione agli Stati Uniti: le misure che verranno adottate contro le importazioni messicane e i loro effetti restano incerti e, infatti, durante la prima amministrazione Trump l'economia messicana aveva conseguito una pregevole performance. Il fatto che gli spread messicani non abbiano pressoché reagito all'annuncio dei risultati elettorali suggerisce che i mercati avevano già scontato i possibili impatti di un cambio di amministrazione sulle prospettive di crescita del Messico. In merito ai titoli sovrani in valuta forte, le valutazioni sono ancora molto elevate rispetto ai Treasury, soprattutto escludendo il debito più rischioso. Il quadro è meno chiaro rispetto ad altri asset rischiosi. Per contro, i tassi in valuta locale dei mercati emergenti sono notevolmente diminuiti nel periodo precedente le elezioni, offrendo un migliore punto d'ingresso. Tuttavia, come menzionato sopra, anche il margine di manovra per i tagli dei tassi è ora più ristretto.
In sintesi, per il segmento in valuta forte osserviamo valutazioni elevate, fondamentali sani (leggermente migliori per i corporate rispetto ai titoli sovrani) e una forte propensione al rischio. Quanto all'omologo in valuta locale, rileviamo buone valutazioni, ma prospettive meno rosee per la politica monetaria. Pertanto, manteniamo una visione neutrale su entrambi i segmenti.
I rendimenti cinesi sono costantemente calati nel corso dell'anno, con il decennale che si attesta ora intorno al 2%. L'assenza di reazioni ai recenti annunci di un piano di stimoli denota un impatto atteso dai mercati verosimilmente contenuto. A nostro parere, ci sarà invece un impatto reale, forse anche perché la nuova amministrazione statunitense spingerà il governo cinese ad agire con maggiore urgenza. Riteniamo quindi che la bilancia dei rischi tenda verso una nuova ripresa dei rendimenti dagli attuali livelli molto modesti.
In merito alle valute dei mercati emergenti, abbiamo aperto una posizione long sul BRL rispetto all'EUR. I tassi reali positivi in Brasile sono sempre più interessanti, sullo sfondo di ulteriori rialzi della banca centrale per frenare le aspettative inflazionistiche.