Per gli operatori di mercato il mese di agosto non è stato affatto all'insegna del riposo e del relax. Dopo il taglio ampiamente previsto di giugno da parte della BCE, è stata la Banca del Giappone a sorprendere i mercati, causando un'impennata della volatilità in un mese tradizionalmente piuttosto calmo, con la minore liquidità che ha forse aggravato la situazione. Alla luce di un'inflazione ai massimi livelli da diversi anni, se non decenni, la BoJ ha alzato i tassi. Questa mossa ha innescato un sell-off azionario, con il Nikkei che è calato di oltre il 12%, ma ha recuperato la maggior parte delle perdite il giorno successivo.
Al contempo, l'occupazione non agricola si è rivelata di gran lunga inferiore alle attese (114 mila unità rispetto a 175 mila) e ha scosso i mercati, mentre il tasso di disoccupazione è salito dello 0,2% e ha accentuato i timori di una recessione più drammatica per l'economia statunitense. La conferenza di Jackson Hole non ha portato novità rilevanti, ma ha confermato che la Fed sta volgendo lo sguardo al mercato del lavoro anziché all'inflazione. Il presidente Powell ha sottolineato che i mercati del lavoro sono meno tesi rispetto al periodo pre-pandemia e non rappresentano più una fonte di pressioni inflazionistiche. Inoltre, ha indicato che ci sono "ampi margini" per tagliare i tassi e che il FOMC farà "tutto il possibile" per sostenere il mercato del lavoro, lasciando intravedere tagli più rapidi o pronunciati se i dati sull'occupazione dovessero indebolirsi ulteriormente. Dai commenti di Powell è emerso chiaramente che settembre segnerà l'inizio del ciclo ribassista, un'eventualità praticamente sancita dalle recenti statistiche. Di conseguenza, alcuni investitori hanno previsto tagli di oltre 100 p.b. entro la fine dell'anno, il che ne implica almeno uno da 50 punti base. Riteniamo che la Fed non avrà bisogno di arrivare a tanto, ma il nostro scenario di base di tre tagli trova certamente conferme.
Nel complesso, ad agosto gran parte dei principali mercati dei tassi ha conseguito performance positive. I tassi USA a 10 anni sono diminuiti di 13 p.b., mentre gli omologhi tedeschi sono rimasti pressoché invariati. Nella maggior parte delle asset class societarie gli spread si sono lievemente ampliati, sebbene con un'intensa volatilità infra-mensile.
Tassi USA: abbiamo presp profitti dopo il rally
I tassi USA hanno proseguito il loro rally e sovraperformato gli altri mercati. Le valutazioni appaiono ora più impegnative. La domanda e l'offerta rappresenteranno anch'esse un ostacolo sul breve termine. Riteniamo inoltre che i tassi USA siano piuttosto elevati rispetto a quelli in euro, considerando come i mercati scontano il tasso terminale e quella che reputiamo una differenza equa tra i due. Quanto alle prospettive economiche, il quadro appare eterogeneo. I mercati non dubitano più della disinflazione e siamo concordi nel ritenere che la tendenza sia saldamente in atto. Tutti gli occhi sono ora puntati sul mercato del lavoro, dove emergono segnali che vanno in direzioni diverse. È scattata la "regola di Sahm", ma le richieste di disoccupazione si collocano all'estremità inferiore del loro recente range e il tasso di disoccupazione è tornato a scendere ad agosto.
Forse si tratta di un rallentamento relativo del mercato del lavoro, ascrivibile a una solida crescita dell'offerta di manodopera data la massiccia immigrazione, anziché a un freno alla creazione di posti di lavoro. Questo espone chiaramente qualsiasi allentamento di tale mercato a eventuali modifiche delle politiche pubbliche che potrebbero porre un freno a un'immigrazione persistentemente elevata.
Restiamo leggermente positivi sui tassi in euro
Riteniamo essenzialmente che i tassi core in euro siano vicini al fair value e condividiamo la visione del consenso di due ulteriori tagli della BCE quest'anno. Preferiamo ancora mantenere un giudizio complessivamente positivo e una posizione di irripidimento. In particolare, siamo sempre dell'avviso che le dinamiche di inflazione e crescita siano favorevoli ai tassi. Mentre l'inflazione core resterà probabilmente al di sopra del 2% quest'anno, quella primaria dovrebbe raggiungere l'obiettivo. Potremmo assistere a revisioni al ribasso delle stime di crescita della BCE, alla luce di consumi e investimenti negativi nell'Eurozona.
Sul brevissimo termine, l'offerta potrebbe ancora rappresentare un freno nelle prossime settimane, con l'arrivo di ingenti emissioni a settembre. Tuttavia, da ottobre a fine anno ci aspettiamo che le dinamiche relative alla domanda e all'offerta favoriscano i detentori, poiché la maggior parte delle tesorerie pubbliche avrà già soddisfatto in larga misura il proprio fabbisogno di finanziamento annuale.
Il posizionamento complessivo sulla duration in euro è più eterogeneo: gli investitori in obbligazioni liquide sembrano aver ridotto molti dei loro sovrappesi sulla duration, mentre il posizionamento sui future appare tuttora più lungo.
A livello di singoli paesi, la nomina di un primo ministro in Francia non ci ha convinto a chiudere il nostro sottopeso. Il sostegno parlamentare rischia di essere incerto e, nel complesso, la situazione politica potrebbe restare volatile e riservare ulteriori sorprese. Continuiamo quindi a preferire un sovrappeso sulla Spagna che, tra i principali paesi dell'Eurozona, esibisce la dinamica di crescita più sostenuta.
Siamo meno positivi sul credito IG in euro
Riguardo al credito IG in euro, abbiamo mantenuto la nostra visione positiva dopo l'ampliamento degli spread nella settimana dominata dall'avversione al rischio in seguito alla liquidazione dei carry trade sullo yen. Abbiamo approfittato di questi migliori livelli per partecipare alle emissioni primarie. In linea con le nostre aspettative, gli spread sono ora tornati ai loro precedenti livelli, alquanto contratti. Di conseguenza, preferiamo assumere di nuovo una visione neutrale, alla luce essenzialmente delle valutazioni. I bilanci delle società e le prospettive sugli utili permangono favorevoli.
Molti sviluppi indicano un dollaro USA più forte
Dopo un deciso apprezzamento da giugno ad agosto, di recente il dollaro ha perso notevole terreno rispetto alla maggior parte delle altre principali valute mondiali. Il biglietto verde può trarre vantaggio da sorprese al rialzo dell'economia statunitense, suscettibili di rallentare l'azione della Fed, ma soprattutto da sorprese al ribasso, che ne mettono in risalto il ruolo di "bene rifugio" e le qualità contro l'avversione al rischio.
Lo spazio per un contesto favorevole alle posizioni short sull'USD sembra piuttosto ridotto, poiché il soft landing appare adeguatamente scontato. In entrambi gli scenari alternativi (una recessione o un rallentamento dell'aggressivo ciclo ribassista della Fed) il dollaro dovrebbe in una certa misura rafforzarsi. Di conseguenza, poiché al momento privilegiamo leggermente i tassi in euro rispetto a quelli statunitensi (un forte driver del cambio EUR/USD nel recente passato e del posizionamento short sul dollaro), abbiamo ritenuto opportuno posizionarci long sul dollaro.
Tra questo posizionamento short e il fatto che potremmo essere al punto inferiore del "Dollar Smile", abbiamo quindi deciso di introdurre una posizione long.
Mercati emergenti: valutazioni in valuta forte ancora tese
Sono stati due mesi volatili per i titoli sovrani in valuta forte dei mercati emergenti, con gli spread che si sono inizialmente ampliati in modo significativo prima di tornare su livelli simili a quelli di luglio. In sostanza, abbiamo quindi mantenuto una posizione neutrale, nonostante fondamentali sani in termini di quadro “macro” e soprattutto nonostante l'imminente ciclo ribassista negli Stati Uniti. Anche per i corporate dei mercati emergenti intravediamo solidi fondamentali (migliori rispetto a gran parte dei loro omologhi sui mercati sviluppati) controbilanciati ancora una volta da valutazioni elevate.
In valuta locale, è possibile che inizino a emergere dinamiche associate al ciclo di allentamento globale, che potrebbero sostenere il segmento, ma preferiamo attendere maggiore chiarezza e catalizzatori più evidenti.