La prima vera tregua dell'anno

Dopo i primi 10 mesi del 2022 in cui gli investitori obbligazionari hanno sostenuto perdite quasi da record nella maggior parte delle asset class, novembre ha offerto la prima vera tregua dell'anno. Tutte le asset class hanno conseguito solidi rendimenti positivi, ma il debito emergente in valuta forte e il segmento investment grade globale sono stati i migliori. I titoli di Stato in euro e dollari statunitensi hanno registrato performance di tutto rispetto, superiori al 4%.

Molti segnali indicano che, sul fronte dell'inflazione, il peggio è probabilmente alle spalle e gran parte delle economie entrerà presto in un periodo di disinflazione, il che ha alimentato il contesto di propensione al rischio. I mercati anticipano una svolta delle banche centrali.

Uno sguardo alle asset class del credito sembra avvalorare questa convinzione. Il settore immobiliare, particolarmente sensibile ai più alti costi di finanziamento, ha subito le maggiori perdite da inizio anno, ma ha anche esibito la ripresa più marcata a novembre, con un certo distacco sui secondi classificati. Mentre il credito ha conseguito una buona performance nell'intero spettro qualitativo, l'investment grade si è rivelato in ottima forma, comprimendo e avvicinando a valori normali l'ampio divario dei rendimenti osservato di recente.

 

Si consolida la prospettiva di un atterraggio morbido negli Stati Uniti

L'attuale stretta monetaria negli Stati Uniti è, per molti versi, senza precedenti. La Fed ha innalzato i tassi circa due volte più rapidamente rispetto ad altri cicli recenti e, aspetto forse più importante, partendo da un livello molto inferiore. Finora, l'economia si è dimostrata inaspettatamente resiliente: l'indice dei responsabili agli acquisti ha sorpreso in positivo ed è ancora sopra 50. Tuttavia, il ritardo con cui la politica monetaria si ripercuote sull'economia reale rappresenta un rischio di ribasso.

Al contempo, la maggior parte degli indicatori segnala un cambio di rotta per l'inflazione. I fattori alla base dell'impennata di quest'anno stanno tutti perdendo vigore e probabilmente nel 2023 saranno negativi o neutrali. Ma soprattutto la crescita degli stipendi ha rallentato. Con il ciclo di stretta che si avvicina al tasso terminale, ci aspettiamo che la curva torni a irripidirsi. Il disavanzo e le emissioni previste per il 2023 presentano un quadro in chiaroscuro: se il deficit di bilancio è destinato a calare con la fine dell'inasprimento quantitativo, il Treasury dovrà rivolgersi ai mercati per una quota maggiore dei suoi finanziamenti. Poiché oltre il 50% delle emissioni sarà verosimilmente costituito da T-Bill, l'impatto in termini di pressione sui tassi dovrebbe comunque essere mitigato.

 

L'inflazione dell'eurozona sembra tornare sotto controllo

L'inflazione europea mostra finalmente segni di un picco imminente. Mentre la crescita degli stipendi resterà presumibilmente elevata, la dinamica dei prezzi energetici, un elemento critico, si sta invertendo. In alcuni Stati dove l'inflazione si era rivelata particolarmente alta, come i Paesi Bassi, si osserva un'evidente inversione di tendenza. Da questo momento, non intravediamo più supporto per i titoli indicizzati, poiché anche il carry inizia a deteriorarsi.

Ciononostante, l'inasprimento monetario nell'eurozona è ovviamente meno avanzato di quello statunitense, il che ci induce a mantenere una preferenza relativa per i tassi americani e un sottopeso sulla duration dell'UE.

Detto questo, notiamo chiare opportunità Relative Value tra gli emittenti dell'EMU, sostenute da fattori idiosincratici che vanno oltre la dicotomia core/non-core. Gli spread austriaci rispetto a quelli francesi sembrano particolarmente eccessivi; riteniamo infatti che gli investitori abbiano temuto troppo per l'esposizione dell'economia austriaca all'Europa centrale e orientale dopo l'invasione russa in Ucraina. Allo stesso tempo, la politica fiscale solleva un rischio di rating molto concreto per la Francia. Analogamente, tra i paesi non core, mentre riteniamo che il rischio fiscale e politico dell'Italia non sia al momento adeguatamente scontato, Portogallo, Spagna e Irlanda presentano a nostro avviso un quadro decisamente migliore.

 

Sensibilità ai tassi di interesse molto diverse nel mondo

In un contesto segnato da tassi in rialzo, il mercato immobiliare è generalmente il primo a subirne gli effetti. Dati i diversi tassi di proprietà delle abitazioni e il modo in cui sono strutturati i mutui, le ricadute immediate possono variare in misura significativa da un paese all'altro. La Norvegia, il Regno Unito, l'Australia e la Nuova Zelanda esibiscono la sensibilità più elevata ai mutui, mentre quella di Germania e Francia è la più bassa. La BOE, la RBA e la RBNZ ne sono consapevoli e, a parità di condizioni, dovrebbero optare per un approccio di politica più accomodante. Nel Regno Unito, in particolare, riteniamo che le aspettative del mercato per il tasso terminale siano forse troppo alte e che la BOE faccia un passo indietro prima di raggiungerlo. Nei prossimi mesi potrebbero quindi emergere opportunità sulla parte corta della curva dei gilt.

 

Opportunità sui mercati valutari

Un ritmo differente nelle svolte delle banche centrali può anche tradursi in turbolenze sul Forex. In questo frangente, siamo long sull'AUD contro il NZD, poiché la RBA ha adottato in anticipo un approccio accomodante rispetto alla RBNZ. Sebbene ciò contrasti in una certa misura con gli effetti sulle valute tipicamente attesi dalla politica delle banche centrali, il ciclo rialzista più cauto della RBA potrebbe causare minori danni economici in Australia che in Nuova Zelanda. Questo aggraverebbe uno squilibrio già molto evidente: la posizione esterna dell'Australia è molto solida, mentre quella della Nuova Zelanda è particolarmente debole. Infatti, l'Australia mostra costantemente un avanzo delle partite correnti dal 2019, mentre quest'anno la Nuova Zelanda registrerà un deficit del 7%.

Al contrario, ci aspettiamo che una politica della BOE più conciliante del previsto possa portare a una sottoperformance della sterlina. Più in generale, l'economia britannica continua a soffrire di più rispetto alla maggior parte delle sue omologhe nell'Europa continentale, in seguito ai persistenti venti contrari della stagflazione e all'austerità fiscale.

Per motivi tecnici, in alcune strategie abbiamo anche introdotto una posizione short sullo JPY contro l'USD, poiché al momento la valuta giapponese appare molto ipercomprata. Quest'ultima può anche fungere da copertura per alcune posizioni nei Treasury statunitensi.

 

Nessuna chiara tendenza ma alcune opportunità sui mercati emergenti

Dopo una solida performance, riteniamo che i mercati CEE di Polonia e Ungheria siano vicini a valutazioni eque. I rendimenti cechi non si sono mossi più di tanto e, grazie alla stabilità della valuta e alla lotta contro l'inflazione anche in tale paese, intravediamo ancora valore in questo mercato. In America Latina, i tassi brasiliani offrono rendimenti reali molto interessanti, poiché i rendimenti nominali del 13% sono nettamente superiori all'inflazione. Dato il calo del rischio politico dopo le recenti elezioni e alla luce di minacce a nostro parere piuttosto modeste sul fronte della politica fiscale, siamo costruttivi anche su questo mercato.

 

Nell'universo del credito continuiamo a preferire l'investment grade europeo

La nostra visione costruttiva sull'investment grade europeo ha premiato. A novembre, infatti, l’ asset class ha conseguito robusti rendimenti. Detto questo, poiché gli spread si sono notevolmente ampliati da inizio anno anche dopo il recente rally, riteniamo che il segmento sia sempre ben orientato, in quanto la stagionalità è molto positiva a dicembre. Il buffer rimane consistente. Per contro, le valutazioni dell'investment grade statunitense appaiono ancora elevate, con un ampliamento contenuto rispetto all'inizio dell'anno.

Nel segmento high yield, invece, riteniamo che gli spread rispetto ai crediti di maggiore qualità non siano sufficienti. Sebbene le aspettative di default implicite pari a circa l'8% sembrino eccessive e sia più probabile un aumento rispetto alle medie storiche di circa il 4%, il rating drift volge chiaramente in negativo. L'offerta dovrebbe inoltre migliorare, in quanto da inizio anno le emissioni high yield si sono rivelate di molto inferiori alle attese. Preferiamo l'high yield europeo all'omologo statunitense; guardando al rischio fondamentale, quest'ultimo è infatti molto costoso.

 

Strategia e posizionamento

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