Rotazione dagli asset in dollari a vantaggio di quelli in euro

Dopo il contraccolpo subito dagli asset più rischiosi e persino dai Treasury USA in seguito all'annuncio, nel cosiddetto "giorno della liberazione", di dazi molto più elevati, sui mercati è tornata una parvenza di calma. I Treasury hanno recuperato gran parte delle perdite e anche i premi per il rischio di credito si sono ridotti, senza però tornare ai livelli di fine marzo. Il dollaro USA non si è ripreso, ma si è stabilizzato dopo aver ceduto, verso metà aprile, circa il 4% rispetto a un paniere globale di valute. I principali fattori che hanno indotto gli investitori a tornare ad acquistare sono stati un  tono lievemente più conciliante da parte dell'amministrazione americana, la percezione di un ruolo più rilevante per il Segretario del Tesoro Bessent nell'esecutivo, l'annuncio di eccezioni sostanziali al nuovo regime dei dazi e le speranze di accordi bilaterali.  Tuttavia, in termini storici l'incertezza politica resta straordinariamente elevata, ponendo consumatori e imprese in una posizione molto difficile. Ogni mese in più di decisioni di investimento rinviate o annullate danneggerà le prospettive di crescita dell'economia statunitense.

Gli asset denominati in euro hanno beneficiato della rotazione dagli omologhi in dollari, ma si tratta chiaramente di una preferenza molto relativa. Le prospettive per l'economia dell'Eurozona sono indubbiamente cupe e in continuo peggioramento, essendo la regione al centro del commercio globale. Ciò ci induce a mantenere una visione costruttiva sulla duration dell'Eurozona e un posizionamento cauto sul rischio di credito.

 

Rischio reale di uno shock politico negli Stati Uniti

Il decennale statunitense ha recuperato le perdite subite all'inizio del mese, chiudendo aprile pressoché allo stesso livello di fine marzo. I dazi dovrebbero avere un effetto decisamente negativo sulla crescita statunitense. Sebbene il possibile impatto sull'inflazione sia più difficile da valutare, la distruzione della domanda potrebbe essere potenzialmente superiore all'effetto immediato degli aumenti dei prezzi. Avendo già rilevato segnali di debolezza nei dati soft e con gli investitori in attesa che tale tendenza si manifesti anche nei dati hard, eventuali sorprese positive nelle cifre economiche potrebbero penalizzare le posizioni long. In una certa misura, questo scenario si è verificato alla pubblicazione di un ISM manifatturiero migliore del previsto. Inoltre, contrariamente a quanto osservato nel primo trimestre, entrambe le componenti del decennale -rendimenti reali e break-even- si sono di recente mosse all'unisono, segnalando crescenti timori di una recessione. In definitiva, i rendimenti sono ancora elevati rispetto al tasso "neutrale" e probabilmente c'è ancora spazio per un'ulteriore riduzione del tasso terminale, così come è scontato dai mercati.

Il mese di aprile ha inviato un chiaro messaggio agli investitori: la "Trump put" è svanita per i mercati azionari, ma sembra invece essere ancora in atto su quello dei Treasury. Per l'amministrazione sembra prioritario abbassare i rendimenti. Nonostante la retorica confusa, il Tesoro dispone di leve che può utilizzare per esercitare pressioni al ribasso sul decennale, anche a costo di tollerare rendimenti più elevati su altre scadenze.

Occorre tuttavia precisare che gli investitori in asset denominati in euro non dovrebbero guardare soltanto all'andamento dei rendimenti statunitensi. La nostra visione sul dollaro rispetto all'euro è negativa e l'ampio differenziale dei tassi a breve termine aumenta il sacrificio in termini di rendimento che gli investitori devono accettare per attuare le coperture valutarie. Il Treasury USA decennale coperto in euro offre un rendimento nettamente inferiore rispetto al decennale tedesco.

 

I tassi dell'Eurozona hanno esibito una solida performance, ma intravediamo ancora un certo potenziale

Alla fine di aprile i titoli di Stato core dell'Eurozona avevano in gran parte ceduto il sostanziale rialzo dei rendimenti osservato dopo che il governo tedesco aveva annunciato investimenti in infrastrutture e difesa per circa 1.000 miliardi, seguito da un lieve aumento da inizio mese. Le prospettive di crescita per l'Europa sono deboli e si sono ulteriormente deteriorate, mentre il sostegno fiscale non avrà effetti tangibili fino al 2026. Sul fronte dell'inflazione, pur rilevando ancora margini per un ulteriore rallentamento, trainato dalla componente core e dai prezzi energetici, buona parte della decelerazione si è già concretizzata. Pur non prevedendo una reflazione, la disinflazione ha ormai compiuto passi avanti significativi e lo spazio per ulteriori progressi è semplicemente limitato. Lagarde ha assunto toni accomodanti nella riunione di aprile sia in merito alla crescita che all'inflazione, lasciando la politica monetaria come elemento di sostegno. Sul breve termine, prevediamo anche che i fattori tecnici si riveleranno favorevoli. Da inizio anno le agenzie del Tesoro nazionali hanno già coperto una quota più che proporzionale del loro fabbisogno di finanziamento annuale, mentre l'offerta netta è meno penalizzante a maggio e anche il sentiment dovrebbe continuare a essere positivo.

La pregevole performance delle scorse settimane ci induce tuttavia ad assumere una visione leggermente meno costruttiva, man mano che ci avviciniamo ai fair value.

A livello di singoli paesi, continuiamo a preferire la Spagna e siamo sottopesati sulla Francia. Per questi paesi gli spread rispetto ai Bund si attestano su livelli simili, ma la Spagna beneficia di una crescita molto più robusta e presumibilmente di una maggiore stabilità politica.

 

Non siamo ottimisti sul credito e preferiamo l'euro al dollaro

Per quanto riguarda l'esposizione al credito in euro, restiamo prudenti. L'impatto dei dazi e i potenziali esiti dei negoziati rimangono incerti. Abbiamo assistito a un'ulteriore moderata contrazione degli spread in seguito alla tregua nella guerra commerciale, ma in futuro prevediamo un impatto maggiore sulle società e i consumatori. In questa stagione degli utili, le imprese lamentano la mancanza di visibilità e, in alcuni casi, rinunciano del tutto a fornire indicazioni prospettiche. Continuiamo a preferire i titoli finanziari subordinati rispetto all'high yield, data la loro minore esposizione alle condizioni del commercio globale.

Di recente, inoltre, le società statunitensi attingono sempre più ai mercati obbligazionari in euro, per approfittare probabilmente dei costi di finanziamento più contenuti. Resta da vedere se questa tendenza persisterà e se sarà necessario monitorare i rischi e le opportunità che può comportare l'esposizione a imprese con attività prevalentemente negli Stati Uniti in un portafoglio del credito in euro.

Abbiamo anche optato per una posizione più pessimistica sul credito statunitense rispetto a quello in euro. Nonostante l'elevata sensibilità dell'Europa alle condizioni del commercio globale, siamo meno a nostro agio con il livello di rischio scontato nel credito statunitense. I premi di rischio nell'investment grade sono quasi identici a quelli europei, ma i rischi di recessione rappresentano un chiaro pericolo. Riguardo in particolare al segmento HY, possiamo aspettarci ulteriori tensioni da tre società "blue chip" a rischio declassamento: Ford, Boeing e Warner. Ciò potrebbe compromettere la liquidità del mercato e amplificare le pressioni di vendita. Sebbene questo significherebbe l'ingresso di importanti società "blue chip" nell'universo HY, forse rafforzandone la liquidità e la qualità medie, non riteniamo che le maggiori dimensioni del mercato sarebbero compensate da un corrispondente aumento dell'interesse per il debito HY. Di conseguenza, l'ago della bilancia potrebbe pendere significativamente verso un eccesso di offerta a fronte di una domanda insufficiente, soprattutto perché molti degli attuali detentori di questi emittenti potenzialmente soggetti a declassamento saranno costretti a vendere, frenando la domanda anche per altri emittenti.

 

La debolezza del dollaro fa emergere opportunità sui mercati valutari

Aprile è stato un mese movimentato per i mercati valutari, con soprattutto una forte sottoperformance del dollaro USA. L'euro è stato infatti una delle migliori valute del G10, superato solo (di poco) dallo yen e (con un margine leggermente maggiore) dal franco svizzero.

Abbiamo una posizione short sull'USD rispetto all'EUR. A nostro parere, la fine del cosiddetto "eccezionalismo americano", una perdita di fiducia negli asset statunitensi, un rallentamento dell'economia USA e il pacchetto tedesco per le infrastrutture e la difesa sono i fattori trainanti di un euro più forte. Abbiamo inoltre aperto una posizione long sull'EUR rispetto al CAD, data la persistente elevata sensibilità della valuta canadese alla debolezza economica statunitense, accentuata dalla guerra commerciale e dal calo dei prezzi del petrolio.

Abbiamo infine introdotto una posizione short sul CHF rispetto allo JPY, operazione piuttosto immune alle oscillazioni del sentiment di rischio. Lo yen potrebbe inoltre beneficiare di un potenziale accordo che, secondo le indiscrezioni, sarebbe in fase di negoziazione con l'amministrazione Trump.

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