Verso una curva dei rendimenti più “normale”
“C'è ancora molta strada da fare per riportare l'inflazione al 2%”, ha dichiarato lo scorso giugno J. Powell, Presidente della Federal Reserve; “Non possiamo ancora dichiarare vittoria”, ha fatto eco la sua controparte europea, Christine Lagarde, qualche settimana dopo. Nonostante il continuo calo dell’inflazione, il messaggio lanciato dalle banche centrali su entrambe le sponde dell’Atlantico per diversi mesi non è cambiato: i tassi rimarranno alti “per molto tempo”. Anche se i banchieri centrali non hanno cambiato tono, gli operatori di mercato hanno semplicemente rivisto in modo significativo le loro aspettative sui tassi: si aspettano ora tagli dei tassi chiave su entrambe le sponde dell'Atlantico, a partire dall'inizio della primavera. Su un orizzonte più lontano, tuttavia, rimangono molto cauti e ritengono che i tassi di riferimento alla fine del 2027 saranno poco inferiori al 4% negli Stati Uniti e poco superiori al 2,5% nella Zona Euro. Queste aspettative sono ragionevoli?
La storia monetaria recente come guida…
Prima di rivedere di recente le loro aspettative, i mercati sembravano avere una fiducia cieca negli impegni presi dai banchieri centrali. Tuttavia, come la storia monetaria ci ricorda regolarmente, i banchieri centrali non possono ragionevolmente fare promesse che vadano oltre i pochi mesi. Quando nell’agosto del 2003 la Federal Reserve si impegnò a mantenere una politica monetaria accomodante per un periodo di tempo “considerevole”, molti si chiesero quale fosse l’orizzonte temporale di questa promessa: pochi mesi, diversi trimestri o anche più anni? Cinque mesi dopo queste parole furono abilmente rimosse dalla dichiarazione di politica monetaria per preparare i mercati al prossimo aumento dei tassi... che avvenne effettivamente alla fine di giugno 2004. Il “periodo considerevole” durò quindi “solo” dieci mesi. La promessa fatta nel marzo 2009 di mantenere i tassi bassi per un “periodo prolungato” fu molto più lunga, ma l’esplosione causata dalla Grande Crisi Finanziaria fu, va ricordato, di portata senza precedenti. Nell'agosto 2011 il “periodo prolungato” fu prorogato “almeno fino alla metà del 2013”, poi “fino alla metà del 2015”. La Fed non alzò i tassi fino a gennaio 2016. Questa volta la banca centrale mantenne i tassi bassi per... sette anni. Questo breve riassunto ci mostra che il periodo associato agli aggettivi “considerevole”, “esteso” o “lungo” è a dir poco variabile. La cosa più sicura per le banche centrali è fare promesse condizionali piuttosto vaghe, come quella fatta a fine agosto dalla Presidente della BCE: la banca centrale manterrà i suoi tassi elevati “finché sarà necessario”!
Ancorare le aspettative di inflazione
L’analisi minuziosa dei discorsi delle banche centrali, nel tentativo di leggere la futura politica monetaria con diversi trimestri di anticipo, è quindi poco utile. E’ meglio chiedersi quali condizioni potrebbero portare le banche centrali ad allentare la loro politica monetaria. L’obiettivo oggi è riuscire a riportare l'inflazione verso il target del 2%: questo scopo richiede, in Europa come negli Stati Uniti, un rallentamento del mercato del lavoro. Ciò significa che, in assenza di uno shock che spinga le economie verso la recessione, la crescita dovrà, per un anno o due, rallentare al di sotto del suo ritmo potenziale. Nessuno ovviamente sa con precisione quale sia questa velocità di crociera, ma affinché le banche centrali possano prendere in considerazione una politica monetaria meno restrittiva, il ritmo di crescita nel 2024 probabilmente dovrà scendere al di sotto dell’1,5% negli Stati Uniti e dello 0,5% nell’Eurozona. Una volta soddisfatta questa condizione, la politica monetaria potrebbe diventare meno “restrittiva”. Anche in questo caso, tuttavia, giudicare il livello “normale” dei tassi delle banche centrali è tutt’altro che facile. Questo livello varia nel tempo e dipende in particolare dalle aspettative di inflazione degli attori economici. Il grado di restrizione associato ad un tasso nominale del 4% varia a seconda che l'inflazione prevista per i prossimi anni sia del 2%... o del 4%! Se le banche centrali riuscissero davvero a riportare l’inflazione verso il loro obiettivo, un tasso nominale a breve intorno al 3,5% negli Stati Uniti non sembrerebbe così irragionevole; simultaneamente in Europa potrebbe essere più vicino al 2,5%. Da questo punto di vista, la revisione al ribasso delle aspettative di mercato dall'inizio di novembre sembra andare nella giusta direzione, anche se gli operatori continuano a ignorare il rischio di una recessione nel giro di pochi anni.
La deflazione dei bilanci
Un’ultima argomentazione è a favore di tassi a breve termine più bassi nel medio periodo. A partire dalla “Grande Crisi Finanziaria”, i bilanci delle banche centrali hanno svolto un ruolo del tutto particolare nella conduzione della politica monetaria: sia la Federal Reserve che la BCE hanno fatto ricorso a politiche di Quantitative Easing, che hanno portato ad un’esplosione delle dimensioni dei loro bilanci, da meno di 1.000 miliardi (in valute nazionali) all’inizio del 2005 a quasi 9.000 miliardi all’inizio del 2022. Ciascuno al proprio ritmo, ora stanno cercando di sgonfiarli. La situazione economica non giustifica più l’attuazione di politiche monetarie non convenzionali. Anche l’argomentazione politica non è priva di importanza: se le banche centrali possono subire perdite e operare con un patrimonio netto negativo, un bilancio alleggerito di titoli acquistati ieri a prezzi elevati faciliterebbe il loro ritorno alla redditività ed inoltre le aiuterebbe a riaffermare la propria indipendenza. Nel caso della BCE, infine, è importante anche l'aspetto giuridico: la sentenza del 2018 della Corte di Giustizia dell'Unione Europea sulla legalità del PSPP (Public Sector Purchase Program) sottolinea la natura temporanea dei programmi di Quantitative Easing, che non obbligano la BCE a ridurre le dimensioni del suo portafoglio titoli, ma la obbligano come minimo a spiegare come questo l’aiuti a raggiungere il suo obiettivo di stabilità dei prezzi... Qualunque sia la ragione, la continua deflazione dei bilanci delle banche centrali – a volte chiamata “Quantitative Tightening” – farà aumentare i premi a termine[1] e, a parità di condizioni, richiederà tassi a breve più bassi. Nel complesso, la deflazione dei bilanci rifletterà una normalizzazione della politica monetaria: dopo essere stata piatta, o addirittura invertita, per diversi anni, la curva dei rendimenti potrà finalmente ritornare ad un profilo normale!
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[1] Il premio a termine è il rendimento aggiuntivo richiesto dagli investitori per compensare l’incertezza legata alla detenzione di titoli a lungo termine.